Italia: dentro o fuori

Come in occasione di ogni grande crisi immancabilmente dall’Italia riecheggiano grida inferocite di uscita dall’Unione Europea. Le gaffes, le non risposte e i “nein” dell’UE hanno creato terreno fertile per uno show-down sul tema della solidarietà finanziaria tra paesi membri. In caso di non accordo, questa volta l’uscita dell’Italia dall’UE – e con essa la fine dell’Unione – è più che un’ipotesi, dove tuttavia nessuno ne uscirebbe vincitore.
Questa la tesi, ma procediamo per gradi.

Fermo restando che:
– L’accoppiata Lagarde/von der Leyen si è dimostrata sin qui inadeguata non solo nella gestione dell’attuale crisi ma anche dei già precari equilibri europei.
– Il malcontento che serpeggia nello Stivale ormai trasversalmente a tutti i livelli è un fatto nuovo rispetto al passato – dove i sentimenti antieuropeisti erano limitati ai una minoranza irredentista – che dovrebbe seriamente preoccupare le due algide Dame.
– Il peso politico dell’Italia a Bruxelles è scarso non solo per un presunto ostruzionismo aprioristico da parte tedesca ma anche per demeriti propri (leggasi: brutte figure del passato a partire dagli “apprezzamenti” del Berlusca sul popò di Angela).

Tutto ciò premesso, prima di lasciarci andare a facili moti restauratori tesi a riportarci ad un Ancien Régime il cui successo è ancora tutto da dimostrare, vale la pena ricordare che:
– L’UE è un’unione tra consapevoli e consenzienti. Italia, Francia, Germania e Spagna – i quattro big – si conoscono molto bene. E non da ieri, ma da secoli.
– L’Italia è una delle colonne portanti dell’Unione e una sua uscita dall’UE di fatto provocherebbe una reazione a catena che porterebbe a cadere l’intero costrutto europeo con conseguenze catastrofiche per tutti.
– Per molti anni, nessuno in Europa si è posto il problema se restare o meno nell’UE, i cui vantaggi erano evidenti a tutti. Appartenere all’UE era considerato quasi un dovere in Europa e molti ricorderanno le battute sarcastiche verso gli Svizzeri (“extracomunitari!”) che di aderire all’UE proprio non volevano saperne…Blocher aveva ragione?
– I problemi sono iniziati – come ahimè succede anche in amore – quando abbiamo dovuto mettere in comune il portafoglio. Il fattaccio avviene nel 2002 quando l’euro viene introdotto quale moneta circolante e le lirette vengono “dimezzate” 2000 a 1. Molti dimenticano però che anche il marco fu “dimezzato” 2 a 1 e che pure i debiti furono “dimezzati”.
– L’euro è stato introdotto anche per ragioni politiche: in primis quella di impedire al marco tedesco di diventare la valuta dominante in Europa dopo la caduta del muro di Berlino. Disfare oggi l’unione monetaria equivarrebbe a consegnare l’Europa nelle mani dei più forti, ossia dei tedeschi.
– Prima di arrivare all’Eurobond sono necessari ulteriori passi politici, istituzionali e normativi che richiederanno anni. Ricordiamoci anche che collettivizzare il debito implica che i singoli governi cedano la propria autonomia finanziaria a favore di Bruxelles.
– Intraprendere un “Alleingang”, ossia un cammino solitario, sul modello della Svizzera è una scelta molto costosa che richiede grande forza finanziaria, che un paese indebitato come l’Italia purtroppo non ha.

In conclusione, l’Italia si trova ora nella posizione strategica di poter imporre a Bruxelles una gestione più solidale delle finanze comunitarie – attraverso la concreta minaccia di uscita dall’UE e la conseguente eutanasia dell’Unione con danni per tutti (Italia compresa).
Dopo la sospensione del Patto di Stabilità, ora l’Italia chiede che anche lo spread non valga più e che si emetta un prestito a condizioni uguali per tutti: perché la Germania si può indebitare a tasso zero mentre l’Italia deve pagare più del 2%?
Con le dichiarazioni di Conte e gli strali lanciati sui social da vari personaggi pubblici che hanno infiammato gli animi, l’Italia ha deciso – salvo clamorosi dietro front che le costerebbero la faccia – per la via del non ritorno. Dentro o fuori.

Andrea Artioli

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